Chi mi conosce sa quanto mi piacciano i cosiddetti Grandi Lievitati (panettone, pandoro e simili). Non tanto per il sapore quanto per la soddisfazione che mi dà vedere il prodotto finito, nato da semplici farina, uova e burro e, una volta condito con tanta attesa e fiducia, trasformato in uno dei dolci che più caratterizzano la nostra terra.
Mi piacciono molto, tanto che nè io nè la mia famiglia riusciamo più a provare piacere nel mangiare quelli di stampo industriale, ma se qualcuno mi dovesse chiedere di salvarne solo uno non nominerei nè il pandoro nè il panettone.
Mi terrei bello stretto il Pandolce genovese.
Le sue origini risalgono, con molta probabilità, alla fondazione della Repubblica di Genova.
Secondo un’antica leggenda Andrea Doria coinvolse i maestri pasticceri di Genova per inventare un dolce simbolo della ricchezza cittadina. Questo dolce doveva rispondere a precisi requisiti: doveva essere nutriente e a lunga conservazione per poterlo trasportare nei lunghi viaggi per mare.
Un dessert che doveva assopire la nostalgia dei marinai e testimoniare la potenza della Superba alle popolazioni estere.
Nascerebbe così, tra un concorso ufficiale e il mito, il pandolce genovese: una sorta di pane lievitato e arricchito con frutta candita, uva passa, pinoli e semi di finocchio (per me indispensabili).
Secondo una consuetudine familiare spettava al più giovane il compito di infiggere in cima al pandolce un ramoscello d’olivo o d’alloro in segno di devozione, mentre al più anziano toccava il taglio della prima fetta, con l’accortezza di serbare una porzione per il primo povero che si sarebbe presentato alla porta e un’altra conservata fino al 3 febbraio, giorno di San Biagio, in quanto il pandolce unito al Santo avrebbe protetto dal mal di gola.
Avendo meno uova e grassi rispetto al panettone milanese è meno soffice e filante.
Al mio compagno piace definirlo un “panettone schiacciato”, ma è proprio questa struttura più panosa, ma dall’aroma più complesso, e così ricca di uvetta e pinoli, a farmi impazzire e ad aprire il cassettino dei ricordi adolescenziali.
Il Pandöce è il dolce ideale per chi non ama i dolci, e chi è ligure sa che in ogni tavola non manca mai la sua presenza.
Non è semplice, serve una pasta madre in forza come lo dovrebbe essere per i panettoni e bisogna saper incordare un impasto, ma a me in qualche modo la sua preparazione rassicura molto e tranquillizza dopo l’ansia panettone 😀 .
C’è anche la versione “bassa”, più simile ad una frolla, ma sarò onesta, a me non piace granchè. E’ sicuramente più semplice da fare (in due ore è pronto) ma il sapore è più dolce e la consistenza totalmente diversa.
Questo e l’autentico Pandolce Genovese per il quale ringrazio il blog di Valentina per la sua ricetta: negli anni ne ho provato tante, ma la tua è la migliore!
INGREDIENTI
Per il primo impasto
500 g di farina W 380 – 400
170 g di pasta madre solida rinfrescata 3 volte
170 g di acqua
55 g uova
150 g di zucchero (per me è troppo, abbasserei a 110g)
150 g di burro morbido
Per il secondo impasto
100 g di farina W 380 – 400
20 g di marsala
40 g di zucchero
60 g di burro morbido
8 g di sale
una goccia di olio essenziale di fiori di arancio (in alternativa sostituite parte dell’acqua con l’acqua di fiori di arancio) *
Per finire
600 g di uvetta ammollata ed asciugata
80 g di arancia candita
80 g di cedro candito
50 g di pinoli (io 60 g)
3 g di semi di finocchio
PREPARAZIONE
Incominciate con i rinfreschi del lievito madre. Deve essere maturo ed in forza. Io li incomincio in tarda mattinata così da poter fare il primo impasto verso le 19.
A questo punto si può procedere con il primo impasto: mettete nella ciotola dell’impastatrice tutti gli ingredienti eccetto il burro che va aggiunto quando l’impasto sarà ben incordato, liscio ed omogeneo, facendolo assorbire poco alla volta.
Mettete a lievitare 9-12 ore a 27-28°C, l’impasto deve triplicare di volume (se gestite il lievito in acqua e fate rinfreschi giovani ogni 2,5 h (invece che ogni 3 h) deve quadruplicare).
Prendete l’impasto, sgonfiatelo e fatelo riposare mezz’ora in frigorifero.
Impastatelo con la farina e poi gli altri ingredienti, fino a che sarà nuovamente perfettamente incordato, lasciando sempre il burro per ultimo.
A questo punto si può amalgamare la frutta.
Lasciate riposare coperto in luogo tiepido per 45 minuti, poi dividete l’impasto in tre parti uguali e arrotondate, lavorando sul piano appena imburrato.
Lasciate riposare 10 minuti e date nuovamente una forma sferica, questa volta stringendo bene l’impasto sotto, con il sistema della pirlatura.
Mettete su teglie foderate di carta forno e lasciate lievitare per 4-8 ore a 27-28°C. A raddoppio avvenuto è arrivato il momento della cottura.
Con una lama affilata fate il classico taglio a triangolo e cuocete in forno a 170 C° per circa 45-50 minuti, coprendo con un foglio di stagnola se la superficie dovesse prendere troppo colore. Sfornare a temperatura interna di 94 °C
Note
*L’acqua di fiori d’arancio, ottenuta con procedimenti naturali dalla distillazione dei fiori dell’Arancio amaro (Citrus aurantium risso), è tradizionalmente usata in pasticceria ed in particolare nella preparazione del tradizionale pandolce genovese e di ciambelle, torte e biscotti. E’ molto difficile da trovare e può essere sostituita da una goccia di olio di neroli (Citrus aurantium var. amara), uno degli oli essenziali più costosi e pregiati sul mercato, perchè un chilo di fiori rende circa 1 ml di olio essenziale. In alternativa utilizzate le fialette che si trovano al supermercato, anche se i preparati commerciali non hanno nulla che vedere con l’autentica acqua di fiori di arancio né per composizione, né per la fragranza, essendo costituiti probabilmente da aromi artificiali.